L’INTRODUZIONE ALLA CONSAPEVOLEZZA*
*(La traduzione del testo è tratta dal volume Consapevolezza, Rigpa,
ad opera di Giuseppe Baroetto, ed. Psiche, Torino, 1997.)
ad opera di Giuseppe Baroetto, ed. Psiche, Torino, 1997.)
La liberazione naturale tramite la nuda visione.
(Sesta Parte)
(Sesta Parte)
Ecco l’insegnamento della
consumazione definitiva.
Benché innumerevoli siano i
modi di vedere contrastanti, nella consapevolezza di sé, nel sentire spontaneo
della vera natura della coscienza, non c’è dualità di osservatore e osservato.
Non
si abbia un punto di vista, [piuttosto] si ricerchi l’osservatore: quando,
cercando proprio colui che osserva, non lo si trova, allora si è consumato il
punto di vista; proprio qui si raggiunge anche la fine del modo di vedere.
Non
c’è alcun punto di vista da cui osservare; però, senza cadere nell’indifferenza
nichilista, il limpido sentire sé nell’ attimo presente è il modo di vedere
della grande completezza. Qui non c’è la dualità di comprensione e
incomprensione.
Benché innumerevoli siano le
meditazioni contrastanti, nell’onnipresente sentire ordinario della
consapevolezza di sé non c’è dualità di meditazione e meditante.
Non si mediti,
[piuttosto] si ricerchi colui che medita: quando, cercando proprio il
meditante, non lo si trova, allora si è consumata la meditazione; proprio qui
si raggiunge anche la fine della meditazione.
Non
c’è alcuna meditazione da fare; però, senza lasciarsi dominare dalle varie
forme di torpore e agitazione, il chiaro sentire inalterato dell’attimo
presente è la contemplazione dello stato equanime e non artefatto. Qui non c’è
dualità di quiete e non quiete.
Benché
innumerevoli siano le condotte contrastanti, nell’unico punto del sentire
consapevole di sé non c’è dualità di condotta e colui che la applica.
Non
si applichi una condotta, [piuttosto] si ricerchi colui che la applica: quando,
cercando proprio colui che la applica, non lo si trova, allora si è consumata
la condotta; proprio qui si raggiunge anche la fine della condotta.
Non
c’è nessuna condotta da applicare; però, senza lasciarsi condizionare
dall’illusione delle inclinazioni latenti, il sentire dell’ attimo presente,
inalterato e risplendente di luce propria, in cui non c’è qualcosa da
correggere, modificare, ottenere o abbandonare, è proprio la condotta assolutamente
pura. Qui non c’è dualità di puro e impuro.
Benché innumerevoli siano le
mete contrastanti, nella vera natura della coscienza consapevole di sé i tre
corpi [dei Buddha] sono una realizzazione innata. Qui non c’è dualità di
realizzazione e realizzatore.
Non
si cerchi di realizzare la meta, [piuttosto] si ricerchi colui che la realizza:
quando, cercando proprio il realizzatore, non lo si trova, allora si è
consumata la meta; proprio qui si raggiunge anche la meta finale.
Non
c’è alcuna meta da realizzare; però, senza lasciarsi condizionare dal rifiuto e
dall’ottenimento, dalla speranza e dal timore, si comprende che il sentire
autoluminoso dell’attimo presente è la realizzazione innata, perché lì, in sé
stessi, i tre corpi sono pienamente manifesti: proprio questa è la meta
dell’illuminazione originaria.
La domanda "chi sono?" non è veramente intesa
per ottenere una risposta,
per ottenere una risposta,
la domanda "chi sono?" serve per dissolvere colui che la pone.
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