giovedì 22 dicembre 2016

Che Cosa Farebbe Ora L'Amore?

Tratto dal film " Conversazioni con Dio" di Neale Donald Walsch

L'originale è in tondo, mentre il commento è in corsivo.


CHE COSA FAREBBE ORA L’AMORE?

Non ne hai avuto ancora abbastanza?

Per quanto tempo ancora eviterai di ascoltare il tuo conflitto interiore?

Sei pronto adesso?

Sei disposto a fermarti per ascoltarti ed ascoltare?

Vuoi conoscere veramente le risposte alle domande che ti stai ponendo?
O ti stai solo prendendo in giro?

Sei veramente onesto e sincero nella tua ricerca? O in fondo è solo un passatempo o un’evasione dalla noia o dal disagio?

Io parlo con tutti … Ma chi mi ascolta?

Parlo con tutti … Mi ascolti?

La risposta è l’amore.

Tutto è Amore.

Avete plasmato un Dio che giudica, premia e punisce.

Immersi nella dualità avete creato un Dio duale e giudicante.

Avete creato una realtà basata sulla paura.

Inconsapevoli della vostra natura, la paura domina la vostra realtà.

E’ della paura che avete bisogno per essere, fare ed avere ciò che è
intrinsecamente giusto?

Le vostre azioni virtuose sono la conseguenza di condizionamenti acquisiti attraverso la paura.

Dovete essere minacciati per essere buoni?

Come può una virtù nascere da una minaccia, dalla paura della punizione?

Siete voi a stabilite le vostre regole.

Questa è la vostra educazione.

L’Amore è tutto ciò che esiste.

In realtà esiste solo l’Amore.

L’avete già sentito e letto chissà quante volte, ma quando affrontate difficoltà, preoccupazioni, dubbi o paure voi preferite dimenticarlo.

Queste cose le sapete, eppure una parte di voi non le accetta. Acconsentite a dimenticare perché preferite continuare a credere di essere degli individui separati.

Ciò che dovreste fare è rispondere a questa semplice domanda:

CHE COSA FAREBBE ORA L’AMORE?

Per potersi porre questa domanda, soprattutto quando siete in difficoltà o preda di preoccupazioni, dubbi e paure dovrete creare uno spazio vuoto, una pausa, tra l’impulso esterno e le vostre reazioni.
Altrimenti le vostre reazioni meccaniche reagiranno istantaneamente senza alcuna possibilità di cambiamento.

Solo in quello spazio vuoto potete Essere, Coscienza, Amore.

giovedì 15 dicembre 2016

Vedere Il Proprio Condizionamento

Tratto da: Può cambiare l'umanità? (Ubaldini ed.)

È possibile per noi esseri umani, esseri umani che vivono nel mondo ter­ribile che abbiamo creato, trasformarci radicalmente? Il problema è tutto qui. Alcuni filosofi e altri hanno affermato che il condizionamento umano non si può cambiare radicalmente; lo si può modificare, rifinire e migliorare, ma la qualità fondamentale del condizionamento non si può alterare. Sono in molti a pensarla così, gli esistenzialisti, ad esempio. Perché accettiamo questo condizionamento? State seguendo, spero, il ragionamento. Perché accettiamo il nostro condizionamento, che ha prodotto un mondo letteralmente folle, dissennato? Dove vogliamo la pace e vendiamo armamenti, dove vogliamo la pace e creiamo divisioni nazionalistiche, economiche, sociali, dove vogliamo la pace e tutte le religioni, le organizzazioni re­ligiose, ci fanno sentire separati come lo sono loro. C’è un’enorme con­traddizione tanto all’esterno che dentro di noi. Mi chiedo se ci rendiamo conto di tutto questo dentro di noi, non di quello che succede fuori. La maggior parte di noi sa cosa sta succedendo fuori, non occorre un’intelli­genza particolare, basta osservare. E la confusione esterna è in parte re­sponsabile del nostro condizionamento. Ci chiediamo: è possibile trasfor­mare radicalmente questa situazione dentro di noi? Perché solo allora avremo una buona società, dove non ci si ferisce a vicenda psicologicamente o fisicamente.
Quando ci poniamo questa domanda, che risposta c’è nel profondo? Sia­mo condizionati, non solo in quanto inglesi, tedeschi o francesi, ma condizionati anche da varie forme di desiderio, credenza, piacere e conflitto, ivi compreso il conflitto psicologico. Tutto questo e altro contribuisce al condizionamento. Prenderemo in esame l’argomento. Ci stiamo chiedendo, stiamo riflettendo insieme, mi auguro, se questo condizionamento, questa prigione umana fatta di pena, di solitudine, di angoscia, di affermazione personale, di pressioni, di soddisfazione, e tutto il resto... questo è il nostro condizionamento, la nostra coscienza, e la coscienza è il suo contenuto... se tutta questa struttura possa essere trasformata. Altrimenti non ci sarà mai pace in questo mondo. Interverrà forse qualche piccola modifica, ma l’uo­mo continuerà a combattere, a scontrarsi, in perpetuo conflitto con se stes­so e con l’esterno. Dunque questa è la nostra domanda. Possiamo rifletterci insieme?
Allora sorge la domanda: “Che fare?”. Ci si rende conto di essere condi­zionati, si è consapevoli, coscienti, di esserlo. Questo condizionamento ha origine dai propri desideri, dalle attività egocentriche, dalla mancanza di un giusto rapporto con gli altri, dal proprio sentimento di solitudine. Si può vivere in mezzo alla gente, si possono avere rapporti intimi, ma c’è sempre questo senso di smarrimento e di vuoto dentro di sé. Tutto questo è il no­stro condizionamento, intellettuale, psicologico, emotivo, e anche fisico, naturalmente. Ora, è possibile trasformarlo completamente? Questa, io credo, è la vera rivoluzione. Una rivoluzione senza violenza.
Allora, possiamo farla insieme? Oppure, se uno di noi la fa, se compren­de il condizionamento e risolve quel condizionamento mentre l’altro è con­dizionato, la persona che è condizionata ascolterà l’altro? Forse qualcuno non è condizionato. Lo ascolterò? E cosa mi spingerà ad ascoltare? Quale pressione, quale influenza, quale ricompensa? Cosa mi spingerà ad ascoltarlo con il cuore, la mente, tutto il mio essere? Perché se si ascolta così completamente, forse una soluzione c’è. Ma a quanto pare non ascoltiamo. Perciò ci chiediamo: cosa porterà un essere umano, che è cosciente del proprio condizionamento, come lo è la maggior parte di noi, se siamo consapevoli in maniera intelligente... cosa lo porterà a cambiare? Per favore, ponetevi questa domanda, scoprite cos’è che porta ciascuno di noi a realizzare un cambiamento, una libertà dal condizionamento. Non a saltare in un altro condizionamento. Per esempio, lascio il cattolicesimo e divento buddhista: lo schema è identico.
Quindi cosa porterà ciascuno di noi... e sono certo che tutti noi vogliamo costruire una buona società... cosa ci farà cambiare? La promessa di un cambiamento si è servita di ricompense: il paradiso, un nuovo tipo di caro­ta, una nuova ideologia, una nuova comunità, una nuova serie di gruppi, di nuovi guru. Oppure di punizioni: se non fai questo andrai all’inferno. Quindi tutto il nostro modo di pensare si basa sul principio di ricompensa e punizione. “Lo farò se ne ricavo qualcosa”. Ma quel tipo di atteggiamen­to, quel modo di pensare, non produce un cambiamento radicale. E un cambiamento del genere è assolutamente necessario. Sono certo che tutti ne siamo consapevoli. Perciò, cosa fare?
Alcuni di voi hanno ascoltato chi vi parla per molti anni; chissà perché. E dopo aver ascoltato, diventa un nuovo tipo di “mantra”. Sapete cosa signifi­ca quella parola? E una parola sanscrita il cui vero significato è non essere egocentrici, riflettere sul nondivenire. Ecco cosa significa. Abolire l’egocentrismo e riflettere, meditare, osservare se stessi, in modo tale da non di­ventare qualcosa. Il vero significato di quella parola è stato sciupato da as­surdità come la meditazione trascendentale.
Quindi alcuni di voi hanno ascoltato per molti anni. Ma ascoltiamo davvero, e di conseguenza cambiamo, oppure ci siamo abituati alle parole e ci limitiamo a tirare avanti? Cosa spinge un essere umano che ha vissuto per milioni di anni ripetendo le stesse vecchie abitudini, ereditando gli stessi istinti di autoconservazione, paura, sicurezza, importanza personale con il grande isolamento che produce... cosa lo spingerà a cambiare? Un nuovo dio, una nuova forma di spettacolo, una nuova edizione religiosa della par­tita di calcio, un nuovo circo equestre con annessi e connessi? Cosa ci farà cambiare? il dolore, a quanto pare, non ha cambiato l’uomo, dato che abbiamo sofferto tanto, non solo individualmente ma anche collettivamente. Come genere umano abbiamo sofferto in misura enorme: guerre, malattia, afflizione, morte. Abbiamo sofferto enormemente, e a quanto pare il dolore non ci ha cambiati. Nemmeno la paura ci ha cambiati, dato che la nostra mente va costantemente a caccia, alla ricerca del piacere, e anche quel piacere e sempre lo stesso in forme diverse, e non ci ha cambiato. Quindi, cosa ci farà cambiare?
Non sembriamo capaci di fare nulla di nostra spontanea iniziativa. Facciamo le cose dietro pressione. Se non fossimo pressati da qualcosa, se non ci fosse l’idea di una ricompensa o di una punizione... ma è ridicolo anche solo pensare a ricompense e punizioni! Se non ci fosse l’idea di un futuro... non so se avete riflettuto su questa faccenda del futuro, che forse è il noc­ciolo del nostro autoinganno di tipo psicologico, ce ne occupiamo fra un attimo. Se abbandonate idee del genere, che qualità avrà una mente che si confronta senza riserve col presente? Capite la mia domanda? Stiamo comunicando? Vi prego, rispondete sì o no, non so a che punto siamo. Non sto parlando da solo, spero?
Ci si rende conto di aver creato da sé la propria prigione? E per “sé” intendo il risultato del passato, genitori, nonni, e così via... la prigione psicologica ereditata, acquisita, imposta in cui viviamo, E ovviamente l’istinto è quello di evadere dalla prigione. Ci si rende conto di questo, non in teoria, non concettualmente, ma come dato di fatto, un fatto psicologico? Quando si guarda in faccia quel fatto, perché anche allora non c’è alcuna possibilità di cambiamento? Capite la mia domanda?
Il problema è stato affrontato da tutte le persone serie che hanno a cuo­re la tragedia umana, la sofferenza umana, e che si chiedono perché non cominciamo a fare luce dentro di noi, non diamo spazio alla libertà, alla nostra bontà fondamentale. Non so se avete notato che gli intellettuali, i letterati, gli scrittori, e i cosiddetti leader mondiali hanno smesso di parlare di come costruire una buona società. L’altro giorno parlavo con alcune di queste persone, e il commento è stato: “Sciocchezze, è un’idea antiquata, lascia perdere. L’idea di buona società è superata. È roba vittoriana, ingenuità, sciocchezze. Dobbiamo accettare le cose come sono e conviverci”. E probabilmente per la maggior parte di noi è così. Perciò noialtri, voi e io, che ne parliamo come fra amici, cosa dobbiamo fare?
L’autorità di un altro non produce questo cambiamento, giusto? Se ti ac­cetto come mia autorità perché voglio realizzare una rivoluzione dentro di me, e così realizzare una buona società, l’idea stessa di io che seguo e tu che mi istruisci è la morte della buona società. Capite cosa voglio dire? Non sono buono perché mi dici di essere buono, o perché ti accetto come autorità suprema in fatto di rettitudine e ti seguo. L’accettazione stessa dell’autorità e dell’obbedienza è di fatto la distruzione di una buona società. Non è così? Capite cosa voglio dire? Possiamo approfondire l’argomento?
Se ho un guru... grazie al cielo non ce l’ho, ma se ho un guru e lo seguo, che servizio ho reso a me stesso? Cosa ho fatto per il mondo? Niente. Mi insegnerà qualche sciocchezza sulla meditazione, su questo e quell’altro, e io avrò un’esperienza meravigliosa, leviterò o altre sciocchezze del genere; mentre quello che voglio è costruire una buona società dove si può essere felici, dove c’è posto per l’affetto, per relazioni senza barriere, questa è la mia aspirazione. Ti scelgo come guru, e che ho fatto? Ho distrutto proprio la cosa che volevo, perché, lasciando da parte l’autorità della legge e simi­li, l’autorità psicologica divide, per sua natura è separativa. Tu là sopra e io qua sotto, tu sali sempre più in alto e anch’io salgo sempre più in alto, per cui non ci incontriamo mai! – [risate] – È ridicolo, certo, ma facciamo davve­ro così.
Quindi, mi rendo conto che l’autorità, con il suo corollario organizzativo, non mi può liberare? L’autorità dona un senso di sicurezza. “Non so, sono confuso, però tu sai, o almeno penso di sì e tanto basta; investo la mia energia e il mio bisogno di sicurezza su di te, su quello che dici”. Poi attor­no a questo creiamo un’organizzazione, e l’organizzazione stessa si trasfor­ma in prigione. Capite cosa voglio dire? Ecco perché non bisognerebbe ap­partenere a nessuna organizzazione spirituale, per quanto promettente, per quanto affascinante, per quanto romantica. Possiamo convenirne, constatarlo insieme? Capite la mia domanda? Constatare insieme il fatto, per cui una volta che l’abbiamo constatato finisce lì. Constatare che – per loro stessa natura – autorità e obbedienza, e l’organizzazione che ne deriva, religiosa o quant’altro, sono separative, tengono in piedi un sistema gerarchico, come appunto accade nel mondo, e dunque fanno parte del carattere distruttivo del mondo: constatare la verità di questo e farla finita. Possiamo farlo? Così che nessuno di noi... mi dispiace... che nessuno di noi faccia più parte di un’organizzazione spirituale, cioè di organizzazioni religiose: cattoliche, protestanti, induiste, buddhiste, nessuna esclusa.
Appartenere a qualcosa ci dà un senso di sicurezza, è chiaro. Ma appar­tenere a qualcosa produce invariabilmente insicurezza, perché è per natura separativo. L’uno segue un certo guru, una certa autorità, è cattolico, protestante, e l’altro è qualcos’altro. Perciò non si incontrano mai, anche se tutte le religioni organizzate dicono di collaborare al servizio della verità. Quindi è possibile, ascoltandoci a vicenda, ascoltando il fatto, bandire dal nostro modo di pensare ogni forma di accettazione dell’autorità, dell’autorità psi­cologica, e quindi le organizzazioni che vi ruotano attorno? Allora cosa accade? Ho lasciato cadere l’autorità perché me lo hai detto tu, o perché vedo la natura distruttiva delle cosiddette organizzazioni? E lo vedo come fatto, e quindi con intelligenza? O mi limito a un’accettazione generica? Non so se mi state seguendo. Se si vede il fatto, la percezione stessa di quel fatto è intelligenza, e in quell’intelligenza c’è sicurezza, non in qualche sciocchez­za superstiziosa. Capite cosa sto dicendo? Ditemi, vi prego, ci stiamo incontrando?
PUBBLICO: Si.
KRISHNAMURTI: No, non a parole. A parole è facilissimo perché parliamo tutti l’inglese, il francese, o quel che volete. Se è intellettuale, a parole, non è un incontro. L’incontro c’è quando si vede il fatto insieme.
Ora, possiamo... è una domanda... possiamo osservare il fatto del nostro condizionamento? Non l’idea del nostro condizionamento. Essere inglesi, tedeschi, americani, russi, indiani, orientali, o quel che volete, è una cosa. Il condizionamento fisico, prodotto da cause economiche, dal clima, dal cibo, dal vestiario, e così via. Ma oltre a questo c’è una grossa dose di condizio­namento psicologico. Possiamo osservarlo come fatto? Prendiamo la paura. Potete guardarla? O se al momento non ci riuscite, possiamo guardare le offese che abbiamo subito, le ferite, le ferite psicologiche che abbiamo accumulato, che abbiamo ricevuto fin dall’infanzia. Guardare, non analizzare. Gli psicoterapeuti tornano indietro a esplorare il passato. Ossia, cercano la causa delle ferite ricevute, esaminando e analizzando il movimento globale del passato. Quello che in genere si chiama analisi, in psicoterapia. Ma sco­prire le cause serve a qualcosa? E c’è voluto molto tempo, magari anni, è un gioco che facciamo tutti perché non vogliamo mai affrontare il fatto ma preferiamo dire: “Cerchiamo di capire da dove vengono i fatti”. Non so se mi state seguendo?
Quindi si investe una gran quantità di energia, e probabilmente di dena­ro, nell’esame professionale del passato; o nell’esame in proprio, se si è capaci di farlo. E stiamo dicendo che un’analisi di questo tipo è separativa, perché l’analizzatore crede di essere diverso dalla cosa analizzata. Mi seguite? Quindi la divisione è tenuta in piedi dall’analisi, laddove il fatto ovvio è che l’analizzatore è l’analizzato. Capite? Nel momento in cui si riconosce che l’analizzatore è l’analizzato... perché se sei arrabbiato lo sei... l’osservatore è l’osservato. Quando è presente la realtà di fatto, l’analisi non ha più senso, c’è solo una pura osservazione del fatto che accade ora. Capite cosa voglio dire? Potrebbe risultare difficile, perché in generale siamo condizio­nati al processo analitico, all’autoesame, all’investigazione introspettiva, sia­mo talmente abituati a questo, condizionati da questo, che la prima reazio­ne di fronte a un’idea nuova può essere di immediato rifiuto o di chiusura. Quindi vi chiederei di esplorare, di esaminare la questione..
Ci stiamo chiedendo: è possibile guardare il fatto così come accade ora... la rabbia, la gelosia, la violenza, il piacere, la paura, quel che sia... guardarlo, non analizzarlo, semplicemente guardarlo; e in quell’osservazione, l’osservatore si limita a osservare il fatto come qualcosa di separato da “sé”, oppure è il fatto? Non so se è chiaro. Riesco a spiegarmi? Capite la differenza? Generalmente siamo condizionati a credere che l’osservatore sia diverso dalla cosa osservata. Sono stato avido. Oppure, sono stato violento. Al mo­mento della violenza non c’è divisione, è solo dopo che il pensiero ci torna su e si separa dal fatto. Quindi l’osservatore è il passato che guarda quello che succede adesso. Perciò, si può guardare il fatto... che sei arrabbiato, av­vilito, solo, quel che sia... guardare il fatto senza l’osservatore che dice: “Sono separato”, e che lo guarda come fosse diverso? O invece riconosce che il fatto è lui, non c’è divisione fra il fatto e lui stesso? Il fatto è lui stesso. Non so se capite.
E cosa accade, perciò, quando si rivela il dato di fatto? Badate, la mia mente è stata condizionata a guardare il fatto, la solitudine, ad esempio... no, siamo partiti dalle ferite dell’infanzia, restiamo su quello. Sono portato, sono stato abituato a credere di essere diverso dalla ferita, giusto? Di conseguenza il mio modo di trattare la ferita sarà o soffocarla e ignorarla, oppure circondarla di una barriera difensiva per non essere ferito di nuovo. Per cui quella ferita mi rende sempre più isolato, sempre più timoroso.
Quindi la divisione si è prodotta perché mi credo diverso dalla ferita. Mi state seguendo? Ma la ferita sono io. Il “me” è l’immagine di me stesso che ho creato, e che è ferita, giusto?
Quindi ho creato un’immagine sulla base dell’educazione, la famiglia, la società, sulla base di tutte le idee religiose riguardo a un’anima, all’essere separati, all’individuo, e via discorrendo. Ho creato un’immagine di me stesso, e quando calpesti l’immagine mi sento offeso. Poi dico che la ferita non sono io, che devo cercare di rimediare a quella ferita. Quindi tengo in piedi la divisione fra la ferita e me stesso. Ma il fatto è che l’immagine sono io che sono stato ferito. Giusto? Perciò, posso guardare quel fatto? Guardare il fatto che l’immagine è me, e che fino a quando ho un’immagine di me è de­stinata a essere calpestata. È un fatto. Ma la mente può liberarsi da quell’immagine? Perché è chiaro che fino a quando esiste l’immagine le verrà fatto qualcosa, verrà punzecchiata, e da ciò nascerà una ferita, da cui l’isolamento, la paura, la resistenza, il muro che mi costruisco attorno... tutto que­sto ha origine dalla divisione fra l’osservatore e l’osservato, ossia la ferita. Questa non è teoria, badate. Non è altro che comunissima osservazione di “sé”, quella che all’inizio abbiamo chiamato “consapevolezza di sé”.
Allora cosa accade quando l’osservatore è l’osservato... nei fatti, non in teoria... cosa accade? Sono stato ferito fin dall’infanzia, dalla scuola, dai genitori, dagli altri bambini e bambine, capito... sono stato ferito, offeso, al livello psicologico. Mi porto dietro quella ferita per tutta la vita, nascosto, ansioso, spaventato, e so quali sono le conseguenze. E ora vedo che fino a quando l’immagine che ho creato, che è stata costruita, esisterà, ci sarà una ferita. Quell’immagine sono io. Posso guardare quel fatto? Non guardarlo in teoria, ma guardare il fatto concreto che l’immagine è ferita, l’immagine sono io. È chiaro questo? Possiamo incontrarci, riflettere insieme, se non altro su questo punto?
Allora cosa accade? Prima, l’osservatore cercava di rimediare in qualche modo. Ora l’osservatore è assente. Perciò non può far nulla per rimediare. Chiaro? Capite che cos’è successo? Prima, l’osservatore si sforzava di soffocarla, di tenerla sotto controllo, di non venire ferito, di isolarsi, resistere, e via discorrendo: faceva un enorme sforzo. Ma quando si vede il fatto che l’osservatore è l’osservato, cosa accade? Volete che ve lo dica io? Allora non siamo approdati a nulla, allora quello che vi dico non avrà senso. Ma se ci siamo incontrati, se riflettiamo insieme e arriviamo a questo punto, allora scoprirete da soli che fino a quando c’è sforzo resta in piedi la divisione, giusto? Quindi nella pura osservazione non c’è sforzo, per cui la cosa che è stata prodotta in forma di immagine comincia a dissolversi. Tutto qua.




giovedì 1 dicembre 2016

Quando Non C'è Più Niente Che Cosa Resta?

Brano tratto da "L'uomo dopo l'uomo" di Satprem.


... Dappertutto è la barbarie, sotto una forma o un'altra. Tutto sta diventando cosi soffocante ... Bisogna infatti che gli uomini si trovino davanti a una realtà FISICA abbastanza TERRIBILE perché cambino di coscienza.

Non stiamo attraversando una crisi morale, una crisi politica, religiosa o economica, no, niente del genere: siamo in una crisi EVOLUTIVA. Stiamo ... MORENDO all'umanità, per nascere a un'altra cosa. E così tutto va a pezzi, dappertutto. Tutto è orribile, dappertutto; anche nelle "splendide città" americane piene di comforts. Dappertutto è la stessa barbarie.

Bisogna arrivare al momento in cui la coscienza viri in un'altra dimensione. Sì, perché si tratta proprio di questo: di una crisi evolutiva. Siamo allo stesso punto in cui a un certo momento dell'evoluzione è stato necessario passare da una respirazione branchiale a una respirazione polmonare, perché altrimenti era l'asfissia. Adesso sta succedendo una cosa del genere. 

lo ... posso parlare solo della mia esperienza. Un uomo comincia a ESSERE solo quando arriva al NIENTE TOTALE di quanto egli è, di quando crede, di quanto pensa, di quanto ama. Quando si arriva al niente … completo, allora bisogna che qualcosa SIA; altrimenti si muore, proprio così. Un momento del genere l'ho conosciuto nei campi di concentramento: non c'era più NIENTE ... tutto era ... ridotto a pezzi. Anch'io ero ridotto a pezzi. Tutti gli ideali, le cose nobili, tutto spazzato via, tutto in frantumi: non c'era più niente, NIENTE, capite? Non c'era più politica, più religione, più niente a cui aggrapparsi.

E allora quando non c'è più niente che cosa resta? CHE COSA RESTA?

Un centro di forza, d'ESSERE ... Sì, resta ... QUALCOSA. È questa la chiave.

Quello che resta non è quanto noi pensiamo, quanto noi sentiamo, quanto noi amiamo, non sono gli ideali, non è il Buon Dio ... Niente di tutto questo. Resta qualcosa di ... lacerante, come se tutto l'essere si coagulasse in ... un'angoscia talmente intensa da diventare come una preghiera, o come ... un amore. Qualcosa di caldo, potente, senza parole: l'ESSERE, quello che siamo.

Ecco qual è la Domanda, o la Cosa, a cui tutti arrivano: QUANDO TUTTO CROLLA, CHE COSA RESTA? 


giovedì 24 novembre 2016

Tutto è Uno

1. Il Tutto è: Vita-Coscienza-Intelligenza-Amore, chiamato spesso il Grande “IO”, il Sé, l’Essere, Dio.

2. Il Sé è senza forma e per questo motivo può prendere tutte le forme; infatti, l’intelligenza-Amore della Vita ha creato tutte le forme di vita, compreso l’essere umano.

3. Noi siamo un’azione della Vita, tanto quanto un insetto, un albero, i pianeti e le stelle.

4. Tutta la manifestazione è Coscienza: i regni minerale, vegetale e animale sono Coscienza, perché tutto è Esistenza-Coscienza: Sat Cit.

5. Nel regno minerale la Vita-Coscienza si manifesta attraverso il corpo fisico ed energetico (eterico), nel regno vegetale si è aggiunto il corpo astrale (emotivo) e nel regno animale il corpo mentale.

6. I corpi fisico, eterico, astrale e mentale non solo si manifestano nella Coscienza, ma sono fatti di Coscienza, proprio come tutta la materia è fatta degli stessi atomi.

7. Nel processo evolutivo l’essere umano ha sviluppato la mente astratta e riflessiva e così non solo vive con la coscienza mentale come gli animali, ma sa di vivere perché è autocosciente. 

8. L’autocoscienza è il prodotto della capacità della mente riflessiva di conoscere se stessa.

9. La mente riflessiva ripiegandosi su di sé nel tentativo di conoscersi, si separa in soggetto ed oggetto e riflette se stessa come uno specchio creando l’illusione del dualismo e della molteplicità.  L'autocosienza è solo un surrogato della Vera Coscienza, benché sia fatta  sempre di Coscienza.


10. La mente astratta ha dato origine al linguaggio, il quale attraverso concetti e categorie ha creato una mappa concettuale della realtà.

11. Il dualismo è creato dal potere di illusione di Maya che significa appunto misurare, ordinare, creare.

12. L’essenza del dualismo si esplicita nella divisione, nella separazione e in quella che viene chiamata la conoscenza del bene e del male.

13. La separazione illusoria dell’essere umano dall’Unità viene interpretata come la caduta dallo stato edenico, ma segna anche l’inizio del viaggio evolutivo della Coscienza.

14. In questo processo la Coscienza - il grande IO - rimane intrappolata in questo circolo chiuso della mente e si identifica con la forma, l’immagine della struttura psicofisica.

15. Nasce così l’illusione del piccolo “io” separato: “io” in quanto separato dall’”altro”.

16. L’uso del linguaggio e delle mappe concettuali, insieme al pronome “io” consolidano l'illusione della separazione, scollegano l'"io" dalla realtà unificata e lo incapsulano in un mondo virtuale dualistico. 

17. Il piccolo “io” irretito dall'illusione di Maya crede di essere separato dalla Vita stessa, crede di essere qualcosa che ha la Vita e non più qualcosa che è Vita.

18. Credere di avere la Vita significa quindi poterla perdere, mentre essere Vita significa eternità.

19. In questa condizione precaria l'"io" diventa autoreferenziale: da un lato costantemente preoccupato e ansioso per un futuro incerto e potenzialmente pericoloso e dall'altro attaccato ad un passato che lo rassicura, lo conforta e gli conferma la propria identità. 

20. L’"io" separato, che non è altro che il riflesso della Coscienza identificata nella forma, inizia a credere di essere l’autore delle proprie azioni.

21. La credenza di essere colui che agisce crea il karma, ovvero la catena delle conseguenze che vincola il piccolo “io” a scontare gli effetti positivi o negativi delle proprie azioni.

22. Questo processo mantiene l’”io” bloccato all’interno del cerchio delle rinascite: il samsara.

23. Le azioni dell’”io” sono quasi sempre il frutto di condizionamenti ereditari o socioculturali ed il suo comportamento è  meccanico e ripetitivo.


24. Il piccolo “io” essendo separato e scollegato dalla Sorgente non può cogliere la Bellezza e l'Amore e non può veramente agire secondo Coscienza. Infatti, la società umana ha dovuto prescrivere norme di condotta, regole di comportamento, principi etici e morali per sopperire alla mancanza di Vero Amore.

25. La vita del piccolo “io” separato che gira nella ruota del samsara è contrassegnata dalla mancanza, dalla sofferenza e dall’insoddisfazione poiché ha perso la connessione con la sua Vera Natura.

26. Tuttavia, attraverso il pungolo dell’insoddisfazione e della sofferenza, l'"io" sarà indotto a ricercarne le cause, eliminarle e, quindi, ad evolvere ulteriormente.


27. Tutto questo processo evolutivo che ha portato l’uomo a sentirsi un piccolo “io” separato è un’azione della Vita intelligente.

28. La conoscenza astratta e riflessiva della mente, l’autocoscienza e l'identificazione con la forma sono solo un passaggio nell’evoluzione della Vita-Coscienza-Intelligenza all'interno della manifestazione.

29. Il passaggio attuale dell’evoluzione umana consiste nel comprendere e realizzare che esiste solo il Sé e che tu sei il Sé. Esiste solo la Coscienza ed il mondo si trova dentro la Coscienza ed è fatto di Coscienza.

30. Questa realizzazione porterà ad un nuovo livello di realtà, un nuovo piano di manifestazione della Vita. 


Quando gli umani realizzeranno - non basta capire, si deve realizzare - che la Materia e lo spirito non esistono come entità separate e neppure come parti integranti dell'Uno, ma sono l'Uno stesso, quando si saranno integrati nella grande Unità, l'ineffabile beatitudine regnerà sul mondo.
Sri Auribindo

giovedì 17 novembre 2016

Destino o Libero Arbitrio?

Abbiamo visto che se andiamo alla ricerca di un io individuale separato, troviamo soltanto pensieri, sensazioni, percezioni e volizioni, ma nessun “io” concreto. Il concetto “io” è un nome che viene usato per indicare l’insieme di tutti i processi psicofisici.

Se non esiste un io individuale separato, esiste il libero arbitrio?

Se andiamo a guardare da vicino la nostra vita, ci rendiamo conto che tutte le nostre scelte sono sempre condizionate. Ogni scelta è motivata da condizionamenti più o meno evidenti: mangiare quando si ha fame come dormire quando si ha sonno sono azioni motivate dall’avere fame o sonno. Anche scegliere cosa mangiare dipende dalle nostre abitudini e scelte alimentari, che dipendono a loro volta da quello che crediamo sia più salutare e giusto per la nostra salute.

Se guardiamo attentamente ci rendiamo conto che ogni nostra scelta è motivata da qualcos’altro che dipende dal qualcos’altro ancora e così via.

Noi siamo una complessa rete di condizionamenti che interagiscono continuamente tra di loro. Tutte le nostre decisioni dipendono dalla programmazione che ha ricevuto la nostra struttura psicofisica: la genetica e i condizionamenti socio-culturali.

Esistono anche intuizioni superiori attraverso le quali attingiamo ad un piano esistenziale più elevato, ma per accedervi bisogna aver già quietato la mente e interrotto il dialogo interiore.

Capito questo, vi accorgerete che l’io è esattamente quello che vorrebbe non far vedere di essere. Lungi dall’essere il centro libero della personalità, è un meccanismo automatico inculcato sin dall’infanzia dall’autorità sociale, con l’aggiunta, forse, di un pizzico di ereditarietà.
Alan Watts

Da queste considerazioni si potrebbe desumere che non esista il libero arbitrio, ma che tutto sia già preordinato in uno stretto determinismo. In realtà, la domanda è fuorviante perché si fonda sul presupposto che esista un “io” che possa essere libero o no!

La domanda se esista il destino o il libero arbitrio presume l’esistenza di un “io” separato che subisce un destino ineluttabile o che esercita la capacità di libera scelta.

Quando ci rendiamo conto che non esiste alcun “io” separato, ma soltanto dei processi fisici, emotivi e mentali, ovvero sensazioni, percezioni e pensieri, allora la domanda stessa si scopre essere priva di senso.

Nel Buddhismo si afferma che esiste l’azione, ma non chi agisce.

Nella Bhagavad Gita si dice che le azioni vengono compiute dai costituenti della natura, i guna:

Le azioni sono compiute tutte quante dagli elementi costitutivi della Natura;
 ma chi ha l’animo fuorviato dal senso dell’Io pensa: “Sono io che agisco”.
Bhagavad Gita III, 27

Cominciamo allora a renderci conto che la Vita è un immenso insieme di processi nei quali siamo immersi.

Il problema del libero arbitrio sorge perché l’idea di essere l’autore delle azioni è profondamente radicata nell’essere umano. Una volta caduti nell’illusione di essere un “io” separato sorge la domanda sull'esistenza della libertà.

Per dissolvere tale illusione si può meditare profondamente sulla natura delle nostre scelte. Prendiamo delle scelte che crediamo essere assolutamente nostre e andiamo a scoprire perché abbiamo preso quelle determinate decisioni. Scopriremo che ogni nostra azione deriva dal perseguire il piacere ed evitare il dolore, da un’abitudine o da una credenza, da una un principio etico acquisito o dalla morale comune, ecc.

L’etica, la morale e il senso civico sono dei rimedi necessari per una buona convivenza in una società in cui gli individui credono di essere degli individui separati. E’ stato necessario stabilire delle norme, delle regole ed una morale basata su dei valori condivisi per regolare il comportamento umano affinché non regnasse l’egoismo, l’individualismo e l’egocentrismo con tutti i comportamenti che ne derivano: avidità, superbia avarizia ecc.

Tuttavia, se osserviamo la società in cui viviamo ci rendiamo immediatamente conto che queste regole di condotta sono applicate in minima parte e che nella società regna il più sfrenato individualismo.

Fino a quando nell’uomo ci sarà la convinzione di essere un individuo separato non potrà manifestarsi l’armonia e la pace nel mondo.

Infatti, come abbiamo visto in passato (Chi sono io? Seconda parte), alla radice dell’”io” separato c’è la paura dell’altro, dell’estraneo, del diverso. Questa paura genera un comportamento di chiusura verso ciò che non si conosce, che non si può controllare e che è potenzialmente pericoloso.

Leggi, norme, regolamenti, principi etici e morali non fanno altro che riaffermare e radicare sempre di più l'illusione che esista un "io" separato in grado di decidere autonomamente, mentre invece non sono altro che programmi per condizionare il comportamento umano.


Questi programmi, però, creano degli effetti collaterali come perversioni, degenerazioni, vizi, corruzione, depravazione ecc., perché non sono in grado di rispondere al bisogno esistenziale fondamentale: Essere Se Stessi!

Solo la fine dell’illusione della separazione e la realizzazione dell’Unità intrinseca della Vita ci può portare ad un comportamento che è NATURALMENTE VIRTUOSO e che non ha bisogno di regole, norme o valori istituzionali per essere condiviso.

In questo caso siamo consapevoli che alla struttura psicofisica compete soltanto l’azione, mentre l'impulso ad agire viene dalla Coscienza.

Possiamo fare esattamente ciò che ci sentiamo, poiché è la Coscienza-Esistenza Impersonale che è all’opera.

Come un cacciavite in mani competenti adempie semplicemente la sua funzione di avvitare ed in mani perverse può essere utilizzato per aggredire ed uccidere, allo stesso modo l’essere umano, quando è privo del senso di separazione ed è consapevole di essere la Coscienza-Esistenza, agisce naturalmente senza l’orgoglio per il successo o il senso di colpa per il fallimento, mentre quando è succube dell’illusione di essere un individuo separato si tormenta per il fallimento e si inorgoglisce del successo.

Ciò non significa che quando svanisce l’illusione della separazione allora si dissolvono immediatamente tutti i condizionamenti della personalità.

La personalità, infatti, è una struttura automatica e continuerà per un certo periodo a funzionare in base ai condizionamenti acquisiti, ma non avrà più la stessa forza di prima.

All’inizio del Risveglio la Coscienza osserverà la personalità continuare a comportarsi come in passato e la mente potrà reagire con rabbia, disapprovazione, senso di colpa ecc., ma questo non provocherà più un profondo turbamento perché non ci sarà più identificazione.

Lentamente la struttura corpo-mente verrà modificata dallo sguardo amorevole ed equanime della Coscienza Impersonale, la quale, senza sforzo o imposizioni, scioglierà tutti i coaguli dei condizionamenti karmici e socio-culturali.

A questo punto, il nostro comportamento non potrà che essere spontaneamente virtuoso.

Se stai pensando: utopia! Questo pensiero è un condizionamento!




giovedì 10 novembre 2016

Il Gioco Divino

Nei post precedenti, abbiamo visto che non esiste un “io” individuale separato. Esiste solo un unico grande Essere, l’Universo, la Vita che si manifesta nelle sue innumerevoli forme.

Che cosa comporta tutto questo?

Esistono molte filosofie appartenenti a diverse tradizioni che descrivono la costituzione energetica dell’uomo. Non ci addentreremo in tali complesse filosofie, che prendono in considerazione numerosi corpi energetici, ma estrapoleremo una visione semplice e chiara della nostra costituzione.

La nostra personalità è composta da un lato dal residuo karmico delle vite precedenti. Quando il corpo muore, il karman di quella persona - composto dai desideri, dagli attaccamenti e dai residui potenziali delle nostre azioni, ovvero le conseguenze buone e cattive delle azioni che non si esauriscono nel breve spazio della vita -, determinerà una rinascita nei diversi piani esistenziali ed un determinato patrimonio genetico. Questo cerchio di nascite e morti è chiamato il ciclo del samsara.

Dall’altro lato, la personalità è il prodotto di tutti i condizionamenti acquisiti nella nostra vita. Soprattutto nei primi anni, infatti, il bambino riceve quei condizionamenti che lo accompagneranno per il resto della sua esistenza. Pensieri, parole e azioni creano un carattere che determinerà un destino.

Questi due aspetti vengono “vivificati” dal principio vitale, l’Atman, che scorre in tutti gli esseri viventi. L’Atman, in realtà, non si distingue dal Brahman, che  è l’aspetto universale dell’Atman, il principio cosmico dell’Unica Realtà.

I tre aspetti dell’Atman-Brahman sono sat, l’essere, cit, la coscienza e ananda, la beatitudine.

Quando il principio universale Atman-Brahman, nella sua manifestazione, si identifica con il Karman e la struttura psicofisica si produce il senso dell'"io" l'Ahamkara, ovvero la sensazione di essere un individuo separato.

Il legame che esiste tra la Coscienza Cosmica e il mondo fenomenico è frutto di Maya, il potere dell’illusione che è intrinseco al Brahman stesso.

A causa del potere di Maya siamo caduti nell’illusione di essere degli individui separati ed indipendenti.


Nella Bhagavad Gita, uno dei testi filosofico-religiosi più importanti dell'India, troviamo scritto:


Nascosto dalla mia Maya, non a tutti sono manifesto,
questo mondo illuso e confuso non conosce Me, il Non-nato e l'Immutabile.
VII, 25


Potremmo affermare che il Brahman ha creato la divina Maya allo scopo di velare se stesso e dimenticarsi di sé.

Che senso avrebbe giocare sapendo che, in realtà, noi siamo tutti i giocatori, il gioco e gli spettatori e che comunque vada vinciamo sempre? Il fascino del gioco dipende proprio dal credere di essere da soli ad affrontare le sfide e dal non sapere come andrà a finire.

Quando guardiamo un film veniamo catturati dalla storia e tal punto da immedesimarci con i personaggi. In un certo senso, ci permettiamo di credere che la storia sia vera per poterla vivere in prima persona senza sapere come andrà a finire. Guardare un film con distacco, sapendo che è una finzione e magari conoscendo già il finale non sarebbe così coinvolgente!

I Bambini quando giocano mettono in atto una finzione, ma il divertimento consiste proprio nel credere che sia vero.

Nel processo involutivo-evolutivo della vita, l'oblio della nostra vera natura e l'identificazione con un'individualità separata, l'"io", è di fondamentale importanza per giocare pienamente la partita della vita.

A questo punto potrebbe sorgere la domanda: qual è il senso della Vita?

Quand’è che si dice che una cosa ha senso? Il senso dipende da un obiettivo. Per esempio, mi sposto da casa al lavoro perché devo andare a lavorare. La maggior parte delle nostre azioni sono fatte per raggiungere uno scopo ed ottenere quindi un risultato. In questo caso si dice che qualcosa ha senso in rapporto alla meta.

Inoltre, si può dire che qualcosa ha senso quando deve essere rapportato a qualcosa di più grande. Per esempio, la tessera di un puzzle da sola non ha significato, ma trova il suo senso solo all’interno di un insieme più ampio: il disegno del puzzle.

Dunque qual è il senso della Vita?

Se la Vita è il Tutto non può trovare il suo senso andando da qualche parte o raggiungendo un obiettivo al di fuori di se stessa, poiché è già il Tutto! Non può nemmeno avere un significato rispetto a qualcosa di più grande perché non c’è nulla al di fuori del Tutto!

In realtà, la Vita è simile ad una danza o al gioco. Si danza per il piacere di danzare, non per andare da un punto ad un altro. Si gioca per il piacere di giocare e non per conseguire un obiettivo.

Nella filosofia indiana, infatti, si usa il termine lila, che significa appunto gioco, per il indicare il disegno divino, il Gioco Divino.

La Vita trova il suo senso in se stessa.

Il problema del senso della vita nasce solo all’interno della mente, la quale credendosi separata dal Tutto e sentendosi quindi limitata e mancante cerca di trovare un modo per colmare questo senso di infelicità esistenziale.

Una volta invischiati nell’angoscia esistenziale cerchiamo delle risposte rivolgendoci alla mente, la quale per dare un senso alla vita ci racconta delle storie che possono essere belle o brutte, felici o tristi, spirituali o materiali, ma sono sempre solo storie.

In ogni storia c’è sempre un protagonista, che è ognuno di noi, che deve fare un percorso per arrivare ad una meta che è il senso della vita.

Noi crediamo a queste storie perché crediamo di essere il protagonista!
Negare tale storia implicherebbe negare il protagonista,
negare il senso di essere un individuo separato.
Ecco perché crediamo a queste storie!

Ci siamo dimenticati di essere il Brahman, la Coscienza ed abbiamo iniziato ad identificarci con il personaggio illusorio della storia.

La Bhagavad Gita recita:

Il Signore risiede nel cuore di tutte le creature
e tutti gli esseri fa girare come se fossero fissati su una ruota,
col potere della sua Maya.
XVIII, 61

Dopo innumerevoli esistenze all’interno del circolo del samsara ed innumerevoli disillusioni può accadere che in un individuo sorga il desiderio di conoscere se stesso e di intraprendere un percorso spirituale.

In realtà, la ricerca spirituale (…) inizia con un individuo convinto di cercare Dio e termina con l’annientamento dell’individuo stesso, il quale riconosce che esiste solo l’Energia Divina, la Coscienza, Dio.
Sandra Herber Percy

Nessun persona si risveglia perché è solo un insieme di caratteristiche e condizionamenti, come nessun "io" si risveglia perché è soltanto un concetto, un'immagine della mente!

Il Risveglio è la fine di questa illusione.


giovedì 3 novembre 2016

Chi Sono? (Terza Parte)

Arrivati a questo punto della ricerca, alla domanda “chi sono?” potremmo probabilmente cominciare a rispondere con abbastanza convinzione: l’Universo!

Se osserviamo di cosa è fatto il nostro corpo ci rendiamo conto che siamo fatti dell’aria che respiriamo, del cibo che mangiamo e dell’acqua che beviamo, del calore solare e di energia vibrante.

Dov’è il confine che ci separa dal mondo?

Tuttavia, è probabile che continuiamo a sentirci degli individui separati.

Il concetto “individuo” significa indivisibile, ma è un termine relativo che si può applicare a diverse scale di grandezza.

L’atomo potrebbe considerarsi un individuo – atomo significa appunto indivisibile -, ma anche una molecola potrebbe essere vista come un individuo. La cellula, il più piccolo organismo vivente, è certamente un individuo che opera funzioni vitali autonome. Una formica può essere vista come un individuo, come un intero formicaio può essere considerato un unico organismo vivente.

All’interno del nostro corpo ci sono, cellule, organi, tessuti, apparati che hanno una loro propria vita e funzionamento. Tutti insieme formano il nostro organismo, che può essere considerato un individuo tanto quanto una singola cellula, un organo interno o un’intera società.

In realtà il concetto “individuo” è una mera creazione della mente umana. E’ una parola che indica una serie di rapporti interconnessi tra loro.

Allora perché consideriamo un individuo solo ciò che è contenuto all’interno del nostro corpo?

Nel bambino piccolo non c’è ancora la distinzione tra ciò che accade dentro il corpo, come un dolore alla pancia, e ciò che è fuori dal corpo, come un rumore. Per lui tutto appare e scompare all’interno della consapevolezza globale. Nel bambino c’è un unico flusso di sensazioni, percezioni ed emozioni che non sono ancora identificate attraverso le griglie concettuali. Ad una sensazione di fame non viene associata la parola “fame”, ma resta solo una sensazione di vuoto allo stomaco.

Nel bambino tutto accade spontaneamente e nel campo di consapevolezza appare, per esempio, il processo: fame, disagio, pianto, nutrimento, agio. La stessa sensazione di fame e disagio appare anche nell’adulto, ma viene poi etichettata dalle parole “io ho fame” e dalla decisione di “voglio mangiare”. Questi concetti creano l’impressione che ci sia un’entità a parte che pensa e decide, mentre in realtà sono semplici concetti appresi che accadono spontaneamente. Processi che possono essere paragonati ai programmi di un computer.

Quando compare il pensiero “io ho fame”, ho forse deliberato in anticipo di formularlo? Oppure è apparso spontaneamente. Quando compare la volontà di mangiare, ho forse anticipatamente scelto quella decisione? Anche la decisione di cosa mangiare dipende dai condizionamenti acquisiti e dalle scelte di vita che a loro volta dipendono da altre cause!

Tuttavia, quando usiamo il pronome “io” si crea la sensazione illusoria che ci sia un’entità a parte che produce i pensieri e le volizioni.

Nel processo evolutivo, per poter rispondere adeguatamente alle sfide del mondo, ci siamo specializzati in un’attenzione a fascio ristretto, focalizzata e seriale. Il nostro adattamento all’ambiente risulta sicuramente efficace, a scapito però di una percezione globale molto più ampia.

Durante il processo evolutivo/educativo l’attenzione del neonato viene catturata da particolari aspetti della realtà circostante. Gli adulti, infatti, agganciano l’attenzione del bambino con suoni, immagini, sensazioni tattili, ecc., per attirarlo nella loro visione del mondo. Inizia così a sviluppare la capacità di restringere la propria attenzione e di focalizzarla su particolari aspetti.

Questa concentrazione dell’attenzione, se da un lato ha la funzione di mettere in risalto alcuni aspetti del mondo esterno, che sono utili alla sopravvivenza e all’interazione con gli altri esseri, dall’altro limita i dati sensoriali impoverendo il campo globale della consapevolezza.

L’attenzione focalizzata è anche seriale. Infatti, l’attenzione tende a concentrarsi solo su un punto alla volta ed iniziamo a vedere soltanto singoli aspetti della realtà frammentati. Per ampliare la percezione inizieremo a spostare l’attenzione da un punto ad un altro, in una successione temporale che creerà l’illusione che ogni punto sia separato dagli altri. L’attenzione focalizzata e seriale, percependo gli oggetti in sequenza, crea l’illusione dello spazio, in cui gli oggetti sono separati, e del tempo, nel quale si svolge il processo della percezione.

La percezione selettiva prima seziona la realtà e poi il linguaggio assegna un nome diverso a ciascun oggetto, rinforzando ancora di più l’idea della separazione.

Il bambino, attraverso lo sviluppo della percezione selettiva, del linguaggio e del pensiero astratto,  impara a vedere il mondo come un insieme di entità separate nello spazio-tempo.

Inoltre, con l’uso del pronome “io”, il bambino è indotto a credere di essere anche lui un individuo separato dal tutto.

Questo processo di identificazione con un concetto provoca alcune resistenze da parte del bambino, che all’inizio usa il suo nome in terza persona. Per esempio dice “Michele ha fame” o “Michele è triste” ecc., come se la percezione che ha di se stesso fosse una presenza molto più ampia ed impersonale.

Ben presto, però, il bambino si adegua al processo educativo e inizia ad identificarsi solo con un organismo psicofisico.

Da questo momento in poi si radica sempre di più la convinzione di essere degli individui separati, si instaura cioè la credenza che esista un “io” che sembra dotato di volontà, libero arbitrio, controllo ecc. Si crea l’illusione che esista un centro capace di pensieri e volizioni, che decide e controlla, ma questa è solo una costruzione del pensiero.

La Vita è un tutto unico che l’attenzione focalizzata e seriale non riesce a cogliere.

La mente discriminante nel suo processo descrittivo analitico divide e seziona la realtà etichettando e concettualizzando tutti i fenomeni.

Attraverso questa modalità conoscitiva analitica scambiamo una distinzione percettiva e linguistica per una reale separazione che non esiste in natura.

Il pensiero non può cogliere l’unità intrinseca dell’esistenza se non astrattamente, come un semplice concetto, un’idea o una teoria.

Per cogliere l’unità del Tutto è necessario che il pensiero discriminante e l’attenzione seriale collassino al fine di accedere ad una modalità conoscitiva diretta, intima ed immediata della realtà.

Non si può nemmeno dire che dobbiamo raggiungere l’unità perché, in realtà, è l’unica cosa che esiste. Il senso di separazione è solo un’illusione mentale appresa nel processo evolutivo/educativo.

Infatti, proprio in questo momento – che è anche questo momento e questo momento …– non esiste nessuna entità separata, nessun “io” nessun “tu” separato dal Tutto.

Esiste solo un'unica entità: Sat-Cit, Esistenza-Coscienza, l'Universo!