giovedì 27 ottobre 2016

Chi Sono? (Seconda Parte)

Come siamo caduti nell’illusione della separazione? Perché crediamo di essere degli individui separati?

La presenza osservante è sempre a monte di ogni osservazione ed è, ovviamente, inconoscibile; eppure la sua presenza è innegabile ed evidente per il fatto stesso di essere coscienti.

La coscienza viene persino prima dei pensieri. Questi per essere conosciuti devono manifestarsi all’interno del campo della coscienza, la quale conosce i pensieri della mente e le sensazioni del corpo, perché appaiono nella coscienza, sono contenuti della coscienza, mentre la coscienza è il soggetto, l’osservatore.

La mente, però, non potendo afferrare il campo illimitato ed indefinibile della coscienza, traduce la pura sensazione di esistere, la consapevolezza di esserci nel pensiero “io”.

Quando la mente pensa il concetto “io”, chi conosce questo pensiero? E’ l’io reale, che in quanto coscienza è sempre a monte del pensiero “io” come di ogni altro pensiero.

Tuttavia, il pensiero “io” a causa della sua autoreferenzialità cattura tutta l’attenzione della coscienza, che viene come ipnotizzata e risucchiata al suo interno!

Il pensiero “io ” viene scambiato per la vera presenza consapevole a causa dell’identificazione della coscienza.

Questo processo crea l’illusione che la coscienza sia dentro la mente, la quale si trova dentro un corpo, mentre, in realtà, sono i pensieri della mente e le sensazioni del corpo a trovarsi nella coscienza.

Questo inscatolamento della coscienza dentro l’apparato psicofisico crea anche l’illusione di un soggetto osservante contrapposto ad un oggetto osservato.

Tale contrapposizione, però, è totalmente fittizia perché ciò che esiste veramente è la coscienza al cui interno appaiono non solo i pensieri della mente e le sensazioni del corpo, ma anche tutte le percezioni del mondo.

Quando un tutto unico osserva se stesso, non può che dividersi in una parte che osserva ed in una parte osservata.

In questo processo si crea un’apparente scissione tra l’osservatore e l’osservato. L’universo non può vedere se stesso come oggetto senza dividersi!

Per esempio, il nostro corpo fisico è un tutto unico nel quale non vi è separazione. Però, quando guardiamo la nostra mano, si crea la sensazione che ci sia un osservatore dietro gli occhi, il soggetto, che guarda la mano, l’oggetto. Inoltre, siamo indotti a credere che il soggetto dietro agli occhi, sia separato dall’oggetto. In realtà il nostro corpo è un tutto unico e tra l’osservatore che guarda e la mano non c’è separazione.

Osservatore ed osservato sono due nomi dati ad un unico processo: l’osservazione.

La scienza, attraverso la fisica quantistica, ha confermato ciò che le antiche tradizioni orientali ed esoteriche hanno detto da sempre: tra il soggetto e l’oggetto, la coscienza ed il mondo non vi è separazione.

L’osservatore, infatti, non è una presenza distaccata che si limita a conoscere il mondo, ma partecipa e modifica l’ambiente con il suo stesso atto di osservare. Il soggetto e l’oggetto sono fondamentalmente interdipendenti.

Tuttavia, ogni volta che l'universo si divide in soggetto ed oggetto, qualcosa deve sfuggire perché il tutto non può vedere se stesso mentre osserva.

Soggetto ed oggetto sono una cosa sola. Non è possibile dire che la barriera tra loro sia stata abbattuta in seguito alle recenti scoperte della fisica, perché tale barriera non è mai esistita.
E. Schroedinger


L’Universo è un tutt’uno che la mente può separare in parti solo astrattamente.

Così siamo caduti nell’illusione di essere degli individui separati. La mente attraverso la sua modalità di conoscenza simbolica ha creato due mondi a partire da uno. La mente ha diviso e separato la realtà creando una mappa concettuale e, scambiandola per la realtà, ha iniziato a vivere all’interno delle sue rappresentazioni. La mappa, però, non è il territorio!

Ci siamo persi all’interno dei nostri concetti.

Il concetto “io”, se da un lato ha una funzione simbolica nella nostra sintassi, dall’altro crea l’illusione che ci sia veramente un “io” separato da tutto il resto. Questa è l’essenza del dualismo.

La mente attraverso il pensiero concettuale traccia un’immaginaria linea di confine in un universo unitario, che illusoriamente separa e contrappone l’”io” in quanto soggetto, dal mondo che viene considerato estraneo e, quindi, potenzialmente pericoloso.

Una volta caduti in questo dualismo ci ritroviamo rinchiusi in una prigione concettuale che da una parte ci limita, mentre dall’altra ci protegge!

In tale condizione il falso “io” si sente limitato ed incompleto, si sente mancante ed inizia così la ricerca incessante di qualcosa che lo appaghi veramente e lo completi. Contemporaneamente, all’interno del confine fissato si sente protetto ed al sicuro da un mondo esterno alieno e minaccioso.

Proprio per questo motivo, quando viene mostrata l’illusorietà del dualismo scatta, nella maggior parte delle persone, l’istinto alla fuga, la negazione ad oltranza, una reazione ancestrale di rifiuto perché significherebbe ammettere l’inesistenza della propria identità come individuo separato: il nocciolo fondamentale su cui si fonda la sensazione illusoria di essere un “io” separato dal Tutto.

L’Universo è l’unico vero individuo.
L'universo è un'unità che ci include e che sta osservando se stesso attraversi i nostri occhi.

giovedì 20 ottobre 2016

Chi Sono? (Prima Parte)

La domanda esistenziale fondamentale che ha attraversato tutte le epoche conosciute di ogni continente, dagli antichi filosofi e pensatori indiani, greci, cinesi, arabi ecc., fino ai giorni nostri è: chi sono?

Il motivo per cui c’è tanta confusione, che  ha dato origine a equivoci ed incomprensioni di ogni tipo, è dovuto all’uso che facciamo del termine “io”.

Normalmente usiamo la parola “io” per indicare una serie di condizioni come il nostro nome e la nostra professione, il nostro sesso e la nostra età e così via. Notiamo immediatamente che il termine può indicare sia una condizione fisica, sia un concetto mentale.

Noi usiamo, infatti, la parola “io” per indicare tre differenti sfere della nostra esperienza:
il corpo, la mente e la coscienza.

Rispetto al corpo diciamo infatti: io sono uomo o donna, bianco o nero, alto o basso, giovane o vecchio, sano o malato. Usiamo il pronome “io” per indicare qualcosa che riguarda il nostro corpo come: “io ho fame”. Questa espressione, però, crea facilmente l’illusione che ci sia un’entità separata, l’“io”, che ha fame, mentre in realtà c’è soltanto la sensazione corporea di fame!

Un’altra sfera di esperienza in cui utilizziamo il termine “io” è la mente con tutti i pensieri, ricordi ed emozioni. Diciamo, infatti, io penso o io sento, io sono felice o triste, calmo o arrabbiato ecc. Anche in questo caso l’uso della parola "io" crea l’illusione che esista un individuo separato che pensa o sente queste cose. In realtà c’è solo il pensiero o la sensazione che compare nel campo della coscienza.

Infine, usiamo il concetto “io” per indicare la coscienza. In questo caso non ci riferiamo ad esperienze o stati di coscienza, ma all’osservatore silenzioso, il testimone che conosce ciò che accade, il soggetto.

Dunque cosa siamo?
Le sensazioni che chiamiamo corpo? I pensieri che chiamiamo mente? O la coscienza?

Possiamo non sapere chi siamo, ma certamente sappiamo che siamo. Non possiamo negare che esistiamo, non possiamo negare l’esserci. Inoltre, abbiamo la sensazione che la nostra presenza sia costante, mentre tutto il resto sia in continua mutazione.

Il nostro corpo, infatti, nel suo processo di invecchiamento cambia continuamente ed ogni 7 anni è completamente rinnovato in quanto ogni cellula è sostituita, però la nostra sensazione di esserci è sempre uguale. Anche quando alcuni organi del corpo vengono sostituiti o amputati la nostra sensazione di essere coscienza non muta.

I nostri pensieri cambiano in continuazione e, spesso, nel corso della vita modifichiamo credenze ed opinioni, ma la nostra sensazione di esserci non cambia.

Se scartiamo tutto ciò che è impermanente, che va e viene, l’unica cosa che rimane è l’esserci, la sensazione di esistere, l'esistenza-coscienza.

L’esserci è una certezza immediata e indubitabile!

Malgrado ciò, abbiamo identificato il concetto “io” con il corpo-mente, che essendo apparentemente limitato e separato dal mondo, ci da l'illusione di essere degli individui separati incapsulati in un involucro fisico.

Inoltre, quando la mente usa il termine “io” per indicare la coscienza, la oggettivizza e non è più il vero soggetto. Questa operazione ci da l’impressione che esista un’entità a parte che ha la coscienza, mentre, in realtà noi siamo coscienza.

Noi in quanto coscienza, pura soggettività, non siamo conoscibili dalla mente, poiché siamo ciò che conosce la mente.

Quando la mente si pone la domanda: Chi sono io? Non ha alcuna possibilità di trovare la risposta perché l’oggetto della ricerca coincide con il ricercatore.
La mente, però, è utile per riconoscere tutto ciò che è falso, fino a smascherare l’illusione dell’io separato.

Tutto ciò che la mente può fare è vedere l’irreale come irreale.
Non esiste uno stato come “vedere il reale”.
Tu puoi soltanto essere il reale – e questo lo sei comunque.
Nisargadatta Maharaj

L’ostacolo più grande alla realizzazione di ciò che siamo è l’identificazione della coscienza con un individuo separato dal tutto, dimenticando la presenza sconfinata del Sat-Cit, dell'Essere-Coscienza in cui il tutto appare e scompare.

Nel corpo, infatti, troviamo soltanto un insieme di sensazioni e percezioni, nella mente un flusso di pensieri ed emozioni, ma non troviamo alcuna traccia dell’”io”, tranne il concetto “io” usato per indicare la totalità dei processi fisici e psichici!

Dal momento che non ci sono altri termini, la parola “io” può essere un semplice indicatore convenzionale di tutte le sensazioni fisiche che noi chiamiamo corpo, di tutti i pensieri ed emozioni che chiamiamo mente e della coscienza, il soggetto.

Questo, però, non deve trarci in inganno e farci cadere nell’illusione che esista veramente un “io” individuale separato!

Infatti, una volta che è avvenuta questa separazione e limitazione sentiamo che ci manca qualcosa ed iniziamo ad attuare tutta una serie di strategie per colmare questa mancanza. Inizia, così, la ricerca di appagamento nel mondo, nel corpo e nella mente, fino ad arrivare alla ricerca spirituale (vedi post precedente "Che Cosa Cerchiamo Veramente?".

Dopo innumerevoli tentativi di colmare questo senso di mancanza, la ricerca spirituale, se portata avanti nella giusta direzione, dovrebbe condurci a scoprire l’inganno iniziale e rivelarci che:

Noi non siamo mai stati degli individui separati.

Il senso di mancanza e di infelicità esistenziale è soltanto il frutto di un’autolimitazione avvenuta con l’identificazione della coscienza con un apparato psico-fisico!

Continua ...





giovedì 13 ottobre 2016

Che Cosa Cerchiamo Veramente?

Se chiediamo a chiunque che cosa cerca nella vita, tutti risponderanno direttamente o indirettamente che cercano la felicità!

La ricerca della felicità può essere mascherata dietro la ricerca del benessere o della pace, del potere o della ricchezza, dell’amore o del piacere, dell’illuminazione ecc., ma alla base c’è sempre il senso di appagamento, di completezza e di felicità che si crede di ottenere con il raggiungimento di tali obiettivi.

Fin da bambini, infatti, impariamo ad associare il senso di appagamento con il raggiungimento di qualcosa che desideriamo. Per esempio, quando il bambino desidera un giocattolo e poi lo ottiene, inizia a credere che il giocattolo sia la causa della sua felicità.

Si instaura così la credenza che gli oggetti possano renderci felici.

Il desiderio è l’espressione di una mancanza – desideriamo ciò che non abbiamo – ed è una condizione dolorosa. Infatti, la sofferenza è evidente quando desideriamo qualcosa che non potremo mai avere; mentre quando sappiamo che il nostro desiderio si potrà realizzare, l’attesa, per quanto dolorosa, acquisisce anche un aspetto piacevole.

Non dobbiamo confondere, tuttavia, la felicità con il piacere. Quest’ultimo, infatti, può essere più o meno intenso, può variare, mentre la felicità è uno stato di pienezza, di completezza nel quale sentiamo che non ci manca nulla.


Quando raggiungiamo ciò che desideriamo, cessa la tensione dolorosa del desiderio e noi sperimentiamo un senso di pace ed appagamento, di felicità.

Non è, quindi, l’oggetto in quanto tale a renderci felici, ma è la cessazione della sofferenza inerente al desiderio stesso a darci la sensazione di appagamento e felicità.

Infatti, se l’oggetto fosse la causa della nostra felicità, noi dovremmo continuare ad essere felici per tutto il tempo in cui abbiamo tale oggetto! Mentre, in realtà, dopo poco tempo la sensazione di appagamento finisce e ricominciamo a cercarla in qualcos’altro.

Inoltre, se la felicità fosse una qualità intrinseca all’oggetto dovrebbe rendere felici tutti in egual misura, ma così non è.

Il nostro bisogno di completezza e di felicità, ci spinge a cercare l’appagamento sia negli oggetti del mondo, come i beni materiali, il lavoro ideale o le relazioni; sia nelle sensazioni fisiche, per esempio nella sfera sessuale, nel piacere del cibo o nell’attività fisica; sia nella mente, attraverso l’arte, la cultura, i sentimenti o la creatività.

Molti continuano per tutta la vita a rimpiazzare di volta in volta l’oggetto del proprio desiderio per godere alcuni istanti di appagamento ed assicurarsi brevi momenti di felicità.

In ultima analisi, però, questo approccio alla vita è votato al fallimento perché nessun oggetto del mondo, del corpo o della mente può darci una felicità stabile e duratura.

L’esperienza ci insegna che tutti questi obiettivi non potranno mai soddisfare pienamente la nostra ricerca di completezza!

Alcune persone, allora, intraprendono una ricerca spirituale per cercare l’appagamento non più in oggetti esterni, ma in stati meditativi, stati non ordinari di coscienza, energie sottili, poteri spirituali ecc. Queste esperienze possono essere certamente molto appaganti, ma sono impermanenti tanto quanto gli obiettivi materiali.

Qualsiasi stato di coscienza, infatti, ha un inizio ed una fine!

Anche questa modalità di ricerca della felicità, che io definirei pseudo-spirituale, è destinata quindi a fallire. A questo punto, però, non c’è un altro posto dove poter cercare perché sembra che non ci sia nient’altro oltre la sfera materiale, mentale e spirituale.

Questo momento viene chiamato la notte oscura dell’anima.

Si può entrare in una profonda crisi perché, malgrado sia ancora presente il desiderio della ricerca, non si sa più dove cercare.

Molti abbandonano con delusione la ricerca per diventare dei cinici denigratori della spiritualità, a favore di un superficiale “carpe diem” nel quale cercano di godersi la vita il più possibile; mentre altri continuano ad oltranza non potendo ammettere nemmeno a loro stessi il fallimento della loro ricerca.

Tuttavia, proprio a questo punto possiamo accorgerci di una possibilità che, fino ad ora, avevamo trascurato e possiamo iniziare una nuova modalità di indagine, che non è più mirata al raggiungimento di un obiettivo che si crede o si spera possa appagarci pienamente in futuro, ma è finalizzata a conoscere profondamente:

Cos’è che è alla costante ricerca di qualcosa?


Chi è che sta cercando la felicità?

giovedì 6 ottobre 2016

Cos'è lo yoga?

Adesso l’insegnamento dello yoga.

Con queste parole si apre il più conosciuto testo classico di riferimento sullo yoga: Gli aforismi (sutra) dello yoga di Patanjali.

Ma che cos’è lo yoga?
Il secondo verso degli yoga sutra risponde immediatamente:

lo yoga è l’arresto o inibizione delle funzioni mentali.

La mente dell’uomo comune, infatti, è fondamentalmente irrequieta, ottenebrata e distratta. Una mente irrequieta è instabile e continuamente diretta verso l’esterno, verso oggetti concreti piacevoli o dolorosi. L’ottenebramento mentale si manifesta con il dominio dei vizi come l’ira, la cupidigia, l’ostinazione, ecc.
La mente distratta, invece, è costantemente rivolta verso gli oggetti sensibili piacevoli, saltando da uno all’altro senza sosta.

Quando il pensiero, tramite i sensi, assume la forma degli oggetti, la coscienza viene assimilata, a quelle forme, identificandosi con gli oggetti.

Questi tre stati mentali ci mantengono in uno stato di ignoranza rispetto alla nostra vera natura. Per questo motivo lo yoga si prefigge di arrestare o inibire le modificazioni mentali, per dimorare nella coscienza del Sé.

Per conseguire lo stato di coscienza del Sé gli yoga sutra prescrivono un ottuplice sentiero, ashtanga marga, composto da: precetti positivi, precetti negativi, posture, controllo del respiro, introversione dei sensi, concentrazione, meditazione e contemplazione.

Notiamo che le posture fisiche, asana, e le pratiche di respirazione, pranayama, sono soltanto un ottavo ciascuno dell’ottuplice sentiero, mentre la metà sono pratiche meditative. Inoltre, dobbiamo rilevare che il fine dello yoga non è principalmente il benessere psico-fisico, ma è essenzialmente spirituale: l’unione con il Sé. Solo secondariamente, quasi come effetto collaterale, si manifestano i benefici psico-fisici.

Shiva Pashupati - Harappa 2600 A.C.

Vediamo ora come lo yoga è conosciuto ai giorni nostri.

Verso gli anni ‘60 e ’70 lo yoga è arrivato in occidente sull’onda del rinnovamento socio-culturale dell’epoca. All’occidente materialista non poteva che interessare soltanto l’aspetto materiale di tale disciplina e, infatti, la prima forma di yoga importata è stato lo Hatha yoga. Questo è una forma di yoga prevalentemente fisico nel quale ci si concentra principalmente sulle posture, asana, e sulle pratiche respiratorie, pranayama. Solo successivamente sono arrivate molte altre forme di yoga classico come il bhakti yoga, lo yoga della devozione, lo jnana yoga, lo yoga della conoscenza, il kundalini yoga, ecc. fino alle innumerevoli forme di yoga odierne totalmente inventate dagli occidentali stessi!

Il morboso interesse dell’uomo occidentale per la salute fisica ed il benessere ha fatto si che nella nostra cultura si sia consolidata la leggenda metropolitana che lo yoga sia una panacea di quasi tutti i problemi di salute fisica e mentale.

Complice una disinformazione mediatica di massa ed il business delle discipline del benessere olistico - che affronteremo specificamente in futuro -, un gran numero di persone si sono lanciate senza preparazione in pratiche fisiche e respiratorie spesso estreme, guidate da insegnanti molte volte poco preparati se non addirittura improvvisati.

Con ciò non voglio assolutamente affermare che lo yoga non abbia dei risvolti pratici veramente notevoli e che non possa anche aiutare a ristabilire in certi casi la salute, ma questo non è l’obiettivo principale dello yoga.

Negli yoga sutra di Patanjali, infatti, le posture fisiche hanno la funzione preparatoria di rinforzare e stabilizzare l’individuo, sciogliere i blocchi ed agevolare le posture per accedere alle pratiche meditative.

La meditazione può essere fatta per raggiungere degli obiettivi come: coltivare la quiete, la pace e il silenzio, aumentare e purificare l’energia interna, integrare mente e corpo, migliorare le proprie relazioni ecc. Dobbiamo, però, ricordarci che la vita ci insegna che tutto ciò che possiamo raggiungere prima o poi lo perderemo perché tutto ciò che ha un inizio ha una fine.

Qualsiasi stato di coscienza, infatti, è impermanente!

Un altro modo di approcciarsi alla meditazione consiste nell’andare in profondità per scoprire chi siamo veramente. In questo caso, la meditazione è simile al viaggio dell’Alchimista di Coelho, il quale dopo aver fatto un sogno, inizia il suo viaggio avventuroso alla ricerca del tesoro nascosto. Notiamo che il viaggio inizia con un sogno, come se la dimensione onirica accompagnasse l'intero viaggio. Dopo mille peripezie, sfide, prove e incontri l’ultimo indizio lo riporta al punto di partenza, per scoprire che proprio dove aveva fatto il sogno era presente il suo tesoro! Il protagonista ha fatto realmente il viaggio o ha sognato di farlo? Il viaggio ha certamente cambiato il protagonista  del sogno, ma l’Essere-Coscienza è cambiata?

Infine, si può intendere la meditazione come una celebrazione della vita. Non si fa per ottenere qualcosa o raggiungere un obiettivo, ma per il semplice piacere di farla. Come il fine della danza è semplicemente danzare per il piacere di farlo, allo stesso modo può accadere per la meditazione. Allora la meditazione non è più qualcosa che si fa nella vita, ma diventa la vita stessa!

Le pratiche psico-fisiche e meditative possono certamente migliorare la nostra prigione, e trasformarla da un luogo buio, umido e malsano in uno spazio luminoso, ampio e salutare, ma non potranno portarci fuori dalla prigione!

La prigione, infatti, non esiste, ma la creiamo noi stessi nel momento in cui crediamo di essere un individuo separato che deve fare qualcosa per liberarsi!

Quindi, lo yoga non è principalmente una modalità per migliorare la vita all’interno del sogno di Maya e procurarsi un karma positivo da godere in questa e nelle prossime vite!

Lo yoga è una via per risvegliarsi dall’illusione del sogno, dall’illusione della prigione, per interrompere il ciclo delle rinascite e tornare ad essere consapevoli di essere il Sé,
la Coscienza imperturbabile dell’Assoluto.

domenica 2 ottobre 2016

Il Sogno della Realtà

Tutti noi trascorriamo un terzo della nostra vita nel mondo del sogno notturno. Il resto la chiamiamo veglia o realtà.

Siamo stati educati a distinguere il sogno dalla realtà. Il sogno lo consideriamo un’illusione, una proiezione della mente, mentre crediamo che la realtà sia concreta, tangibile e solida.

Se guardiamo più da vicino, però, notiamo che quando sogniamo, la realtà del sogno ci sembra concreta, tangibile e solida come la realtà! Infatti, se sogniamo un mostro  che ci insegue scappiamo terrificati allo stesso modo che se fossimo inseguiti da un cane rabbioso nella realtà.

Quando siamo all’interno di un sogno crediamo di essere il personaggio principale e che tutto il resto sia esterno a noi. Viviamo una storia, abbiamo degli obiettivi e cerchiamo in tutti i modi di dare un senso alla nostra vita all’interno del sogno.

Questo accade perché la nostra coscienza si identifica con il protagonista del sogno, ma in realtà noi siamo l’intero sogno, il sognatore, siamo tutti i personaggi del sogno, il mondo sognato, la storia, siamo ciò di cui è fatto il sogno e siamo anche prima del sogno la coscienza!

La stessa cosa succede quando guardiamo un film. Per vivere la storia del film ci dimentichiamo che è solo una finzione e ci identifichiamo con i personaggi per goderci le passioni e i drammi.

Noi siamo tutto il sogno, ma per vivere la storia del sogno pienamente la coscienza acconsente ad identificarsi solo con il protagonista.

«Hai mai fatto un sogno tanto realistico da sembrarti vero? E se da un sogno così non ti dovessi più svegliare? Come potresti distinguere il mondo dei sogni da quello della realtà?» (Morpheus)

Se indaghiamo che cos’è la realtà di veglia notiamo che ciò di cui realmente siamo coscienti è solo coscienza. Possiamo ridurre tutte le nostre attività in pensieri, sensazioni fisiche e percezioni del mondo esterno. Ma di cosa sono fatti i pensieri, le sensazioni e le percezioni? Troviamo qualcos’altro oltre la coscienza?

“Siamo fatti anche noi della materia di cui sono fatti i sogni”.
Shakespeare


Come nel sogno la coscienza si restringe per identificarsi solo con il protagonista ed escludere tutto il resto, così nella realtà la coscienza si identifica solo con la nostra persona, che non è altro che la maschera attraverso la quale risuona la coscienza stessa.

Quando al mattino ci svegliamo, chi è che si sveglia? È il protagonista del sogno a svegliarsi? O è la coscienza a svegliarsi?

Nessun personaggio del sogno può svegliarsi, può soltanto sognare di svegliarsi!

Il protagonista non può certo svegliarsi in quanto non esiste, è solo una finzione, ma nemmeno la coscienza si sveglia, semplicemente prima illuminava il sogno e poi illumina un’altra realtà. La coscienza è sempre sveglia! Cambia solo il tipo di realtà di cui è cosciente.

Nessuna persona, nessun individuo può risvegliarsi, perché è solo un’illusione. L’idea stessa di risveglio, in fondo, è ingannevole, perché la coscienza che noi siamo non dorme mai!
Infatti, si usa il termine risveglio unicamente per indicare il riconoscimento della nostra vera natura.

Fin’ora ci siamo talmente immedesimati con il personaggio, che abbiamo finito per credere di essere solo quello e ci siamo presi esageratamente sul serio!

In realtà, noi siamo il Tutto, siamo la nostra persona, ma anche l’amico, il nemico, l’altro, il diverso, il superiore e l’inferiore, l’alleato e l’avversario, il ladro e l’assassino, ma anche il santo e il saggio, siamo la vita che sta vivendo e la coscienza che sta conoscendo. Possiamo chiamarla Energia, Vita, Essere o Dio.

Se abbiamo compreso che noi siamo il Tutto, allora inizieremo a vivere con la consapevolezza che la Vita è un gioco nel quale nessuno vince e nessuno perde perché esiste solo un unico Essere: la Vita-Coscienza.

Quindi, quando incontreremo qualcuno non potremo non riconoscere nei sui occhi la stessa scintilla che noi siamo e ricordarci che stiamo giocando con noi stessi!