Arrivati a questo punto della
ricerca, alla domanda “chi sono?” potremmo probabilmente cominciare a
rispondere con abbastanza convinzione: l’Universo!
Se osserviamo di cosa è fatto il
nostro corpo ci rendiamo conto che siamo fatti dell’aria che respiriamo, del
cibo che mangiamo e dell’acqua che beviamo, del calore solare e di energia
vibrante.
Dov’è il confine che ci separa dal mondo?
Tuttavia, è probabile che
continuiamo a sentirci degli individui separati.
Il concetto “individuo” significa indivisibile, ma è un termine
relativo che si può applicare a diverse scale di grandezza.
L’atomo potrebbe considerarsi un
individuo – atomo significa appunto indivisibile -, ma anche una molecola
potrebbe essere vista come un individuo. La cellula, il più piccolo organismo
vivente, è certamente un individuo che opera funzioni vitali autonome. Una
formica può essere vista come un individuo, come un intero formicaio può essere
considerato un unico organismo vivente.
All’interno del nostro corpo ci
sono, cellule, organi, tessuti, apparati che hanno una loro propria vita e
funzionamento. Tutti insieme formano il nostro organismo, che può essere
considerato un individuo tanto quanto una singola cellula, un organo interno o
un’intera società.
In realtà il concetto “individuo” è una mera creazione della mente
umana. E’ una parola che indica una serie di rapporti interconnessi tra loro.
Allora perché consideriamo un
individuo solo ciò che è contenuto all’interno del nostro corpo?
Nel bambino piccolo non c’è
ancora la distinzione tra ciò che accade dentro il corpo, come un dolore alla
pancia, e ciò che è fuori dal corpo, come un rumore. Per lui tutto appare e
scompare all’interno della consapevolezza globale. Nel bambino c’è un unico
flusso di sensazioni, percezioni ed emozioni che non sono ancora identificate
attraverso le griglie concettuali. Ad una sensazione di fame non viene
associata la parola “fame”, ma resta solo una sensazione di vuoto allo stomaco.
Nel bambino tutto accade
spontaneamente e nel campo di consapevolezza appare, per esempio, il processo:
fame, disagio, pianto, nutrimento, agio. La stessa sensazione di fame e disagio
appare anche nell’adulto, ma viene poi etichettata dalle parole “io ho fame” e
dalla decisione di “voglio mangiare”. Questi concetti creano l’impressione che
ci sia un’entità a parte che pensa e decide, mentre in realtà sono semplici
concetti appresi che accadono spontaneamente. Processi che possono essere
paragonati ai programmi di un computer.
Quando compare il pensiero “io ho
fame”, ho forse deliberato in anticipo di formularlo? Oppure è apparso
spontaneamente. Quando compare la volontà di mangiare, ho forse anticipatamente
scelto quella decisione? Anche la decisione di cosa mangiare dipende dai
condizionamenti acquisiti e dalle scelte di vita che a loro volta dipendono da
altre cause!
Tuttavia, quando usiamo il
pronome “io” si crea la sensazione illusoria che ci sia un’entità a parte che
produce i pensieri e le volizioni.
Nel processo
evolutivo, per poter rispondere adeguatamente alle sfide del mondo, ci siamo
specializzati in un’attenzione a fascio ristretto, focalizzata e seriale. Il
nostro adattamento all’ambiente risulta sicuramente efficace, a scapito però di
una percezione globale molto più ampia.
Durante il processo
evolutivo/educativo l’attenzione del neonato viene catturata da particolari
aspetti della realtà circostante. Gli adulti, infatti, agganciano l’attenzione
del bambino con suoni, immagini, sensazioni tattili, ecc., per attirarlo nella
loro visione del mondo. Inizia così a sviluppare la capacità di restringere la
propria attenzione e di focalizzarla su particolari aspetti.
Questa concentrazione
dell’attenzione, se da un lato ha la funzione di mettere in risalto alcuni
aspetti del mondo esterno, che sono utili alla sopravvivenza e all’interazione
con gli altri esseri, dall’altro limita i dati sensoriali impoverendo il campo
globale della consapevolezza.
L’attenzione
focalizzata è anche seriale. Infatti, l’attenzione tende a concentrarsi solo su
un punto alla volta ed iniziamo a vedere soltanto singoli aspetti della realtà
frammentati. Per ampliare la percezione inizieremo a spostare l’attenzione da
un punto ad un altro, in una successione temporale che creerà l’illusione che
ogni punto sia separato dagli altri. L’attenzione focalizzata e seriale,
percependo gli oggetti in sequenza, crea l’illusione dello spazio, in cui gli
oggetti sono separati, e del tempo, nel quale si svolge il processo della
percezione.
La percezione selettiva prima seziona la realtà e poi il linguaggio assegna un nome diverso a ciascun oggetto, rinforzando ancora di più l’idea della separazione.
Il bambino, attraverso lo sviluppo della percezione
selettiva, del linguaggio e del pensiero astratto, impara a vedere il
mondo come un insieme di entità separate nello spazio-tempo.
Inoltre, con l’uso del pronome
“io”, il bambino è indotto a credere di essere anche lui un individuo separato
dal tutto.
Questo processo di
identificazione con un concetto provoca alcune resistenze da parte del bambino,
che all’inizio usa il suo nome in terza persona. Per esempio dice “Michele ha fame”
o “Michele è triste” ecc., come se la percezione che ha di se stesso fosse una
presenza molto più ampia ed impersonale.
Ben presto, però, il bambino si adegua al processo educativo e inizia
ad identificarsi solo con un organismo psicofisico.
Da questo momento in poi si
radica sempre di più la convinzione di essere degli individui separati, si
instaura cioè la credenza che esista un “io” che sembra dotato di volontà, libero
arbitrio, controllo ecc. Si crea l’illusione che esista un centro capace di
pensieri e volizioni, che decide e controlla, ma questa è solo una costruzione del
pensiero.
La Vita è un tutto unico che l’attenzione focalizzata e seriale non
riesce a cogliere.
La mente discriminante nel suo
processo descrittivo analitico divide e seziona la realtà etichettando e concettualizzando tutti i fenomeni.
Attraverso questa modalità conoscitiva analitica scambiamo
una distinzione percettiva e linguistica per una reale separazione che non
esiste in natura.
Il pensiero non può cogliere l’unità intrinseca
dell’esistenza se non astrattamente, come un semplice concetto, un’idea o una
teoria.
Per cogliere l’unità del Tutto è necessario che il pensiero
discriminante e l’attenzione seriale collassino al fine di accedere ad una
modalità conoscitiva diretta, intima ed immediata della realtà.
Non si può nemmeno dire che
dobbiamo raggiungere l’unità perché, in realtà, è l’unica cosa che esiste. Il
senso di separazione è solo un’illusione mentale appresa nel processo
evolutivo/educativo.
Infatti, proprio in questo
momento – che è anche questo momento e questo momento …– non esiste nessuna
entità separata, nessun “io” nessun “tu” separato dal Tutto.
Esiste solo un'unica entità: Sat-Cit, Esistenza-Coscienza, l'Universo!
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