giovedì 3 novembre 2016

Chi Sono? (Terza Parte)

Arrivati a questo punto della ricerca, alla domanda “chi sono?” potremmo probabilmente cominciare a rispondere con abbastanza convinzione: l’Universo!

Se osserviamo di cosa è fatto il nostro corpo ci rendiamo conto che siamo fatti dell’aria che respiriamo, del cibo che mangiamo e dell’acqua che beviamo, del calore solare e di energia vibrante.

Dov’è il confine che ci separa dal mondo?

Tuttavia, è probabile che continuiamo a sentirci degli individui separati.

Il concetto “individuo” significa indivisibile, ma è un termine relativo che si può applicare a diverse scale di grandezza.

L’atomo potrebbe considerarsi un individuo – atomo significa appunto indivisibile -, ma anche una molecola potrebbe essere vista come un individuo. La cellula, il più piccolo organismo vivente, è certamente un individuo che opera funzioni vitali autonome. Una formica può essere vista come un individuo, come un intero formicaio può essere considerato un unico organismo vivente.

All’interno del nostro corpo ci sono, cellule, organi, tessuti, apparati che hanno una loro propria vita e funzionamento. Tutti insieme formano il nostro organismo, che può essere considerato un individuo tanto quanto una singola cellula, un organo interno o un’intera società.

In realtà il concetto “individuo” è una mera creazione della mente umana. E’ una parola che indica una serie di rapporti interconnessi tra loro.

Allora perché consideriamo un individuo solo ciò che è contenuto all’interno del nostro corpo?

Nel bambino piccolo non c’è ancora la distinzione tra ciò che accade dentro il corpo, come un dolore alla pancia, e ciò che è fuori dal corpo, come un rumore. Per lui tutto appare e scompare all’interno della consapevolezza globale. Nel bambino c’è un unico flusso di sensazioni, percezioni ed emozioni che non sono ancora identificate attraverso le griglie concettuali. Ad una sensazione di fame non viene associata la parola “fame”, ma resta solo una sensazione di vuoto allo stomaco.

Nel bambino tutto accade spontaneamente e nel campo di consapevolezza appare, per esempio, il processo: fame, disagio, pianto, nutrimento, agio. La stessa sensazione di fame e disagio appare anche nell’adulto, ma viene poi etichettata dalle parole “io ho fame” e dalla decisione di “voglio mangiare”. Questi concetti creano l’impressione che ci sia un’entità a parte che pensa e decide, mentre in realtà sono semplici concetti appresi che accadono spontaneamente. Processi che possono essere paragonati ai programmi di un computer.

Quando compare il pensiero “io ho fame”, ho forse deliberato in anticipo di formularlo? Oppure è apparso spontaneamente. Quando compare la volontà di mangiare, ho forse anticipatamente scelto quella decisione? Anche la decisione di cosa mangiare dipende dai condizionamenti acquisiti e dalle scelte di vita che a loro volta dipendono da altre cause!

Tuttavia, quando usiamo il pronome “io” si crea la sensazione illusoria che ci sia un’entità a parte che produce i pensieri e le volizioni.

Nel processo evolutivo, per poter rispondere adeguatamente alle sfide del mondo, ci siamo specializzati in un’attenzione a fascio ristretto, focalizzata e seriale. Il nostro adattamento all’ambiente risulta sicuramente efficace, a scapito però di una percezione globale molto più ampia.

Durante il processo evolutivo/educativo l’attenzione del neonato viene catturata da particolari aspetti della realtà circostante. Gli adulti, infatti, agganciano l’attenzione del bambino con suoni, immagini, sensazioni tattili, ecc., per attirarlo nella loro visione del mondo. Inizia così a sviluppare la capacità di restringere la propria attenzione e di focalizzarla su particolari aspetti.

Questa concentrazione dell’attenzione, se da un lato ha la funzione di mettere in risalto alcuni aspetti del mondo esterno, che sono utili alla sopravvivenza e all’interazione con gli altri esseri, dall’altro limita i dati sensoriali impoverendo il campo globale della consapevolezza.

L’attenzione focalizzata è anche seriale. Infatti, l’attenzione tende a concentrarsi solo su un punto alla volta ed iniziamo a vedere soltanto singoli aspetti della realtà frammentati. Per ampliare la percezione inizieremo a spostare l’attenzione da un punto ad un altro, in una successione temporale che creerà l’illusione che ogni punto sia separato dagli altri. L’attenzione focalizzata e seriale, percependo gli oggetti in sequenza, crea l’illusione dello spazio, in cui gli oggetti sono separati, e del tempo, nel quale si svolge il processo della percezione.

La percezione selettiva prima seziona la realtà e poi il linguaggio assegna un nome diverso a ciascun oggetto, rinforzando ancora di più l’idea della separazione.

Il bambino, attraverso lo sviluppo della percezione selettiva, del linguaggio e del pensiero astratto,  impara a vedere il mondo come un insieme di entità separate nello spazio-tempo.

Inoltre, con l’uso del pronome “io”, il bambino è indotto a credere di essere anche lui un individuo separato dal tutto.

Questo processo di identificazione con un concetto provoca alcune resistenze da parte del bambino, che all’inizio usa il suo nome in terza persona. Per esempio dice “Michele ha fame” o “Michele è triste” ecc., come se la percezione che ha di se stesso fosse una presenza molto più ampia ed impersonale.

Ben presto, però, il bambino si adegua al processo educativo e inizia ad identificarsi solo con un organismo psicofisico.

Da questo momento in poi si radica sempre di più la convinzione di essere degli individui separati, si instaura cioè la credenza che esista un “io” che sembra dotato di volontà, libero arbitrio, controllo ecc. Si crea l’illusione che esista un centro capace di pensieri e volizioni, che decide e controlla, ma questa è solo una costruzione del pensiero.

La Vita è un tutto unico che l’attenzione focalizzata e seriale non riesce a cogliere.

La mente discriminante nel suo processo descrittivo analitico divide e seziona la realtà etichettando e concettualizzando tutti i fenomeni.

Attraverso questa modalità conoscitiva analitica scambiamo una distinzione percettiva e linguistica per una reale separazione che non esiste in natura.

Il pensiero non può cogliere l’unità intrinseca dell’esistenza se non astrattamente, come un semplice concetto, un’idea o una teoria.

Per cogliere l’unità del Tutto è necessario che il pensiero discriminante e l’attenzione seriale collassino al fine di accedere ad una modalità conoscitiva diretta, intima ed immediata della realtà.

Non si può nemmeno dire che dobbiamo raggiungere l’unità perché, in realtà, è l’unica cosa che esiste. Il senso di separazione è solo un’illusione mentale appresa nel processo evolutivo/educativo.

Infatti, proprio in questo momento – che è anche questo momento e questo momento …– non esiste nessuna entità separata, nessun “io” nessun “tu” separato dal Tutto.

Esiste solo un'unica entità: Sat-Cit, Esistenza-Coscienza, l'Universo!



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